venerdì 25 aprile 2014

Eel Ma'aan, montagne di container dentro la banchina

Marocchino, secondo Greenpeace costruisce il porticciolo di Eel Ma'aan "per creare un'alternativa alla chiusura del porto di Mogadiscio,seppellendo montagne di container dentro la banchina. In particolare, il dossier sintetizza le dichiarazioni che Franco Oliva, tra il 1986 e il 1990 coordinatore amministrativo in Somalia dei progetti di cooperazione per conto del ministero degli Esteri italiano, fa l'8 marzo 1995 alla Commissione parlamentare sulla politica e la cooperazione con i Paesi in via di sviluppo. "Oliva", scrive Greenpeace, "disse di avere incontrato prima del 1990 a Mogadiscio Guido Garelli (che anni prima "aveva firmato, come rappresentante della società Compania Minera Rio de Oro Ltd, un accordo per l'esportazione di un milione di tonnellate di rifiuti industriali pericolosi nel territorio del Sahara occidentale", attività poi abortita "per contrasti interni all'organizzazione"), e che lo stesso Garelli stava cercando di organizzare la spedizione di un carico di scorie nucleari in Somalia in collaborazione con Giancarlo Marocchino". 

Vero? Verosimile? O semplicemente falso? Marocchino, da parte sua, ha sempre negato il coinvolgimento in qualunque forma di business illecito, ma il dossier di Greenpeace estrapola dalle carte di Asti dettagli inquietanti. "Il 24 giugno 1992", si legge, "Giancarlo Marocchino, Guido Garelli e il console onorario della Somalia Ezio Scaglione, hanno firmato un accordo confidenziale per l'esportazione di rifiuti nel Corno d'Africa". Dopodiché il pm di Asti Luciano Tarditi, indagando sui traffici con il continente africano, intercetta il 14 agosto 1997 un dialogo telefonico tra Scaglione e Marocchino, dove quest'ultimo parla di "un'operazioncina tanto per cominciare. Un'operazione, diciamo, fra di noi. In poche parole non so due o tre mila fusti, robe del genere" (dettaglio emerso nelle audizioni di Marocchino alla Commissione Alpi). E c'è dell'altro: stando ai documenti dei magistrati citati da Greenpeace, "nel 1996 Marocchino contatta Scaglione prononendogli di organizzare l'esportazione di rifiuti in Somalia (...), che avrebbero dovuto essere inseriti nel porto in costruzione di Eel Ma'aan". Marocchino, continuano gli inquirenti (e Greenpeace lo riporta nel dossier), specifica "che poteva distribuire/liberarsi di rifiuti nucleari", e la soluzione scelta per lo smaltimento era "seppellirli dentro il cemento della banchina nel porto". 

A questo punto, è evidente che le fotografie pubblicate in queste pagine assumono un'importanza centrale. Se veramente nel porto somalo sono sepolti, dalla fine degli anni Novanta, centinaia di container zeppi di rifiuti pericolosi, la popolazione locale è esposta a un consistente pericolo. Tantopiù che "testimoni", scrive Greenpeace riprendendo una nota di polizia giudiziaria del 24 maggio 1999, "ricordano" che effettivamente "i container interrati nel porto di Eel Ma'aan erano pieni di rifiuti: fanghi, vernici, terreno contaminato da acciaierie, cenere di filtri elettrici...". Dettaglio, sostiene il dossier, che Marocchino avrebbe inserito in un fax per Scaglione del 19 agosto 1996. E che gli ambientalisti integrano, nel loro report, citando la testimonianza di Giancarlo Ricchi, il dipendente dell'azienda Molino Pardini che non soltanto nel 1997 scatta le fotografie al porto di Eel Ma'aan, ma raccoglie la testimonianza degli operai, secondo i quali "i container seppelliti sono circa 400". 

"Serve altro", domanda Alessandro Giannì, "per concludere che importanti pezzi di verità sono stati occultati?". Tali sono gli indizi, dice, "che le istituzioni italiane e internazionali devono verificare al più presto le condizioni del porticciolo di Eel Ma'aan. Soffermandosi sul mare, visto che il pesce catturato in quell'area potrebbe raggiungere il circuito europeo, ma indagando anche sui retroscena riguardo al controllo del porto stesso". Dal 1999 al 2007, si legge infatti nel dossier, la struttura "è stata gestita dalla società Banadir general services, parte del gruppo Banadir coinvolto nella distribuzione degli aiuti umanitari in Somalia". E tra i personaggi chiave dell'organizzazione viene incluso Abukar Omar Adaani, che Greenpeace presenta da un lato come "close associated" (strettamente collegato) con Marocchino, e dall'altro come membro di una famiglia somala "che ha finanziato per lungo tempo gruppi armati", oltre a essere legata "al leader del gruppo Hizbul Islam, ritenuto vicino ad Al Quaeda" (notizie che Greenpeace cita da una relazione ufficiale del Gruppo di monitoraggio sulla Somalia delle Nazioni Unite, ndr). 

Quanto basta per temere che, nell'insieme, il caso Eel Ma'aan non si limiti al traffico di rifiuti tossici e radioattivi, ma tocchi negli anni anche il mondo della cooperazione internazionale, e addirittura quello del terrorismo islamico. "Ancora nel 2008", sottolinea tra l'altro Greenpeace, "il delegato speciale delle Nazioni Unite per la Somalia, Ahmedu Ould Abdallah, ha dichiarato di possedere "informazione attendibile" che aziende europee e asiatiche stiano affondando rifiuti -anche nucleari- in questo territorio" . Eppure, quando nel 2005 Marocchino viene sentito dalla Commissione parlamentare Alpi, le sue parole sul fronte somalo sono rassicuranti. Nega, per quel che lo riguarda, che la costruzione del porto di Eel Ma'aan sia stata viziata da inconfessabili retroscena. Nega l'attendibilità dei dettagli sui rifiuti raccontati da Scaglione, definendo l'ex console onorario "un matto". E pur ammettendo di avere imbottito di container il porticciolo di Eel Ma'aan ("lunghi sei metri, larghi due e mezzo e alti due e mezzo"), li descrive come scatoloni metallici in parte "abbandonati dopo la guerra", alcuni presenti nei suoi "magazzini", oppure "acquistati" per l'occasione. 

Niente di pericoloso, quindi. Innocui contenitori che l'imprenditore sostiene di aver "riempito di pietre, tagliandogli il tetto" per strutturare il porticciolo. E poco importa che nel 2005 questa spiegazione susciti gli interrogativi della Commissione Alpi (Elettra Deiana, allora deputata di Rifondazione comunista, domanda per esempio a Marocchino: "Esclude che fossero contenitori con all'interno sostanze chimiche, che potevano essere rilasciate nel mare, sopra le quali lei metteva i pietroni?"). Nessuno fino a oggi, fino a questo dossier di Greenpeace, ha verificato in maniera definitiva i fatti. Complice, anche, la cronica instabilità politica somala.LA QUESTIONE DEI DOCUMENTI IN POSSESSO DI MAROCCHINO
Nel corso di uno dei colloqui telefonici (intercettati) tra il consulente della
Commissione Di Marco e Giancarlo Marocchino, precisamente in data 6 luglio
2005, quest’ultimo ha fatto riferimento alla disponibilità da parte sua di
documentazione dal contenuto particolarmente delicato, relativa alle attività di
apparati istituzionali in Somalia (potrebbe trattarsi dei documenti cui si fa cenno
nelle telefonate registrate nel corso dell’inchiesta di Asti) e la conoscenza di
circostanze di particolare interesse per le indagini della Commissione (armi e
rifiuti).
In ordine alla possibile natura dei documenti ancora in possesso di Marocchino,
va evidenziato che lo stesso ha subito, nel 1998, un procedimento penale ad
Asti (conclusosi alla fine del 1999) proprio con l’accusa di aver sottratto, nel
marzo 1994 e nel novembre 1995, atti e documenti riservati dell’Ambasciata
italiana in Mogadiscio e del FAI, conservati presso la predetta Ambasciata.
Il procedimento – scaturito dalla registrazione di conversazioni telefoniche tra
Marocchino e Claudio Roghi, entrambi indagati dalla medesima Procura per
altri fatti relativi a traffici di rifiuti e riciclaggio – si è concluso con una sentenza
del GUP di Asti di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste.

Di seguito un passo significativo della sentenza resa in data 9.12.1999 nel procedimento n. 296/98 RGNR:
“…venivano registrate alcune conversazioni tra Marocchino Giancarlo e Roghi Claudio in cui il primo riferiva di
essere in possesso di documenti che l'ambasciata italiana in Mogadiscio gli aveva affidato in custodia in uno dei
suoi magazzini quando vennero compiute le operazioni di evacuazione della ambasciata (tel. 228 del 20.12.1997
in cui Marocchino testualmente dice "quando qui è nato il problema che è stato l'evacuazione dell'Ambasciata...
tutti i documenti dell'Ambasciata li hanno messi dentro in certe casse e nelle casse e mi hanno dato tutta la roba
dell'ambasciata e della Cooperazione Italiana da mettere... in magazzino ... che poi quando loro venivano giù... si
ritiravano tutta la roba.... Mi segui...". Nella medesima conversazione il Marocchino, nel riferire il contenuto di
un colloquio da lui avuto con "tre uomini" che chiedevano notizie su tali documenti, aggiunge di aver loro detto
che tutto era andato distrutto nell'incendio ma che in realtà "è bruciato tutto e una parte di roba sono ancora nei
contenitori, perché i contenitori sono lì... sono incasinati... c'è mobilio, c'è roba... bo... allora loro mi vanno io...
noi qua... qui c'è dei problemi... allora diciamo che te...,che tutta la roba è bruciata e buonanotte suonatore... in
realtà... si qualcosa è stato bruciato ma tanta roba io ce l'ho ancora in mano... allora abbiamo in mano della roba
che... salta Ministero degli esteri, salata., salta Cooperazione Italiana., salta tutta la Madonna., in più .. manco a
farla apposta., in più quando sono stati... l'evacuazione dei militari in porto .. e tutti i dossier e tutto quanto in
porto... destino buono un contenitore è... non si il perché... non è stato imbarcato... e me l'hanno dato in consegna.
Quando l'ho aperto era un archivio ... viaggiante... c'era un arsenale anche lì di documenti").
Dopo aver detto che tali documenti contengono "cose scottanti", che potrebbe "far saltare il ministero degli
esteri", che si tratta di "dossier" ovvero di "un arsenale di documenti.." che potrebbero essere utilizzate per
esercitare pressioni sui governanti locali (infatti nella citata conversazione n.228. Marocchino Giancarlo dice "le
tireremo fuori quando arriva il nuovo governo, vediamo..., e vedrai quanta gente... che li rimando indietro quando
scendono dall'aereo, li faccio di nuovo risalire e li mando di nuovo indietro.., io questa soddisfazione..., io volevo
solo questa soddisfazione.."), il Marocchino aggiunge di avere intenzione di pubblicare un libro autobiografico in
cui riferire i fatti importanti della sua avventurosa vita (tra cui proprio le vicende in tema di cooperazione italiana
in Somalia e l'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin) e che i documenti di cui sopra possono servirgli a
dimostrare la verità di quanto da lui scritto nel libro nel caso in cui qualcuno lo definisse bugiardo”.Camera dei Deputati — 282 — Senato della Repubblica
xiv legislatura — disegni di legge e relazioni — documenti
documenti in possesso dell’imputato fossero quelli, riservati, dell’Ambasciata e
del FAI e fossero quindi da qualificare come concernenti l’interesse politico dello
Stato. Ciò in quanto esistevano i verbali dei Carabinieri circa la presa in consegna
del materiale dell’Ambasciata al momento dell’evacuazione, esistevano
documenti del Ministero che dimostravano che la documentazione del FAI era
stata trasferita in Italia sin dal dicembre 1993, non c’erano prove che archivi FAI
fossero andati smarriti e pertanto anche a ritenere che alcuni documenti fossero
finiti nelle mani dell’imputato, non era possibile sostenere che si trattasse di
documenti di interesse politico dello Stato (si noti che Marocchino aveva
dichiarato che i documenti di cui parlava nella telefonata erano suoi personali, di
tipo commerciale, da cui risultavano trasporti effettuati da aziende italiane a
cantieri somali in cui erano indicate merci diverse da quelle effettivamente
trasportate: mercedes, mobili e marmi pregiati al posto di materiale edilizio,
elettrico, ecc.).
Sul punto va rilevato che nonostante le ripetute richieste da parte di Di Marco (si
vedano le telefonate del 11 luglio, 12 luglio, 1 agosto, 31 agosto, ecc.)
Marocchino non ha più consegnato i documenti di cui ha parlato, spiegando che
essi si trovano nella sua abitazione di Mogadiscio e che deve trovare il modo per
farli giungere in Italia.
Deve inoltre notarsi che il 13 luglio Marocchino ha incontrato Di Marco e gli ha
esibito un faldone contenente fatture emesse per lavori eseguiti in Somalia negli
anni 1993-1994, rappresentando che si trattava dei documenti che gli erano stati
mandati da Mogadiscio e a cui faceva cenno in una telefonata, ma che non erano
quelli da lui richiesti e utili per la Commissione. Sollecitato dal consulente,
Marocchino ha poi dato il consenso all’acquisizione dalle carte utili per le attività
investigative in essere, eventualmente prendendole da Mogadiscio nel corso delle
altre attività della Commissione (acquisizione della vettura o arrivo in Italia di
B.).
Nella stessa occasione Marocchino ha di nuovo riferito di essere a conoscenza di
fatti rilevanti, quali le ragioni della sua espulsione dalla Somalia e della morte dei
due militari italiani uccisi all’interno del porto mentre facevano jogging.
Nelle audizioni, Marocchino ha spiegato di conservare questo materiale, che
consiste prevalentemente in documenti commerciali (“faldoni che corrispondono
a vent'anni di lavoro… Contengono il lavoro della cooperazione, il lavoro dei
militari e così via, per i quali ho lavorato”, a Mogadiscio nel suo ufficio, dove
però era all’epoca (e la situazione non appare mutata) assai pericoloso recarsi in
quanto la situazione laggiù è assai critica. Egli di fatto non ha consegnato nulla
alla Commissione, pur dichiarandosi, si ripete, pronto a mettere a disposizione
quanto in suo possesso.
Riguardo al contenuto della documentazione ha spiegato che esso può essere
rilevante in quanto illustrano venti anni di attività commerciali in Somalia e
pertanto permettono di ricostruire rapporti, fatti e personaggi.Camera dei Deputati — 283 — Senato della Repubblica
xiv legislatura — disegni di legge e relazioni — documenti
In particolare, Marocchino fa spesso riferimento al suo difficile rapporto con gli
americani al tempo di Unosom, rilevando come all’epoca assai significativo era il
ruolo della Brown & Root, agenzia che si occupava di molti settori (è quella che
si è occupata di ospitare i cadaveri dei giornalisti essendo fornita di una
‘morgue’), all’apparenza società privata ma in realtà legata ai servizi di sicurezza
americani, con un’importanza decisiva negli affari economici che si svolgevano a
Mogadiscio e in Somalia in generale. Il contrasto di Marocchino nasceva dal fatto
che spesso le sue offerte erano assai più convenienti perché il guadagno previsto
era assai inferiore di quello che la Brown & Root perseguiva624 e ciò gli procurò
l’antipatia degli americani (lui riconduce a questo anche l’accusa che gli venne
rivolta di traffico di armi).

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